Viviamo tempi che esigono uno scatto di coesione che superi qualsiasi particolarismo. In chiave di programmazione per sostenere l’innovazione, l’auspicio è che nei prossimi mesi, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, assuma rilievo l’attenzione ad una “programmazione anti-fragilità” che possa assicurare impieghi produttivi delle risorse del programma europeo “Next Generation EU” anche in chiave di adeguamento del tessuto economico prevalentemente composto da piccole e medi imprese, di fronte alle sfide epocali dell’innovazione digitale, della mobilità elettrica, del “new green deal” e delle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale applicate alla medicina, al biomedicale, all’agrifood e a tutti gli ambiti in cui diventa importante affiancare l’uomo ad una elevata capacità computazionale e previsionale.

Non si innova da soli.

L’Unione Europea sta dando luogo ad una rete di Digital Innovation Hubs di rango regionale, mettendo in atto una mossa fondamentale per l’accompagnamento all’innovazione digitale. Del resto, la scala di complessità che esige la Quarta Rivoluzione Industriale è tale che gran parte delle PMI rischia di esserne esclusa se non accompagnata sinergicamente in percorsi di crescita sia sul lato delle applicazioni tecnologiche, che delle competenze per poterle sfruttare ai fini di nuovi prodotti e nuovi modelli di impresa.

Nel periodo 2014-2020, a valere sui programmi per l’innovazione e la specializzazione intelligente regionale (la cosiddetta “S3”), l’area vasta che comprende Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini (la “Città Romagna”) ha espresso un volume di investimenti da parte privata (finanziati da programmi per l’innovazione), pari a 22 milioni, ovvero il 24% del complessivo volume di investimenti privati in regione. Questa quota riflette il peso dell’economia romagnola su quella regionale (circa il 25% delle imprese regionali sono in Romagna). Tuttavia, l’incremento di questa capacità di generare valore attraverso l’innovazione dipende in parte dalla programmazione di risorse dedicate (da parte della Regione), ma in buona parte anche dalla capacità delle imprese di saper cogliere l’opportunità di uno scatto per una evoluzione dei prodotti e processi. Sul totale delle imprese romagnole (circa 100 mila da dati Unioncamere), i programmi di finanziamento per l’innovazione, negli ultimi sette anni, hanno interessato solo lo 0,5% delle imprese totali. Una parte troppo esigua per generare un effetto atteso di trasformazione del tessuto economico.

Occorre saper ripensare le logiche di accompagnamento, sfruttando maggiormente l’articolazione in filiere delle produzioni territoriali (quindi imprese leader e imprese e/ cooperative piccole e medie della filiera) e costruendo intorno a queste filiere un “involucro di innovazione”, fatto da sinergie tra pubblico e privato, scuole, ITS e Università, collaborazione tra imprese in chiave di “open innovation”. Le competenze unite ad una attenzione alle reti e filiere territoriali saranno ingredienti cruciali della ripartenza.

In questo numero parliamo di due “hub” dell’innovazione romagnola: quello dedicato alla meccatronica, già espressione di sinergie tra competenze avanzate delle imprese locali e mondo della ricerca e Università di Bologna e quello, ancora in potenza, del biomedicale “made in Romagna”. Del futuro polo della meccatronica parliamo con una azienda leader per le macchine selezionatrici dell’ortofrutta con sede a Lugo che è anche un esempio dell’evoluzione avanzata della meccanica locale a servizio della filiera agricola; sul polo biomedicale abbiamo raccolto le voci di docenti e ricercatori impegnati a Cesena a costruire il futuro della ricerca biomedica e delle apparecchiature biomediche. Non vogliamo certo perdere di vista l’importanza dell’ecosistema regionale e delle reti internazionali per l’innovazione che avranno una forte accelerazione nei prossimi anni. Lo sguardo alle capacità territoriali è tuttavia importante per una azione capillare di ripresa, anche sul lato dell’innovazione.